22
Ma come i cigni che cantando lieti
rendeno salve le medaglie al tempio,
così gli uomini degni da' poeti
son tolti da l'oblio, più che morte empio.
Ma come i cigni che cantando lieti
rendeno salve le medaglie al tempio,
così gli uomini degni da' poeti
son tolti da l'oblio, più che morte empio.
Ariosto - Orlando Furioso
Non andò molto inanzi, che gli offese
il naso e gli occhi un fumo oscuro e fello,
più che di pece grave e che di zolfo:
non sta d'andar per questo inanzi Astolfo.
7
Ma quando va più inanzi, più s'ingrossa
il fumo e la caligine, e gli pare
ch'andare inanzi più troppo non possa;
che sarà forza a dietro ritornare.
Ecco, non sa che sia, vede far mossa
da la volta di sopra, come fare
il cadavero appeso al vento suole,
che molti dì sia stato all'acqua e al sole.
8
Sì poco, e quasi nulla era di luce
in quella affumicata e nera strada,
che non comprende e non discerne il duce
chi questo sia che sì per l'aria vada;
e per notizia averne si conduce
a dargli uno o due colpi de la spada.
Stima poi ch'un spirto esser quel debbia;
che gli par di ferir sopra la nebbia.
9
Allor sentì parlar con voce mesta:
— Deh, senza fare altrui danno, giù cala!
Pur troppo il negro fumo mi molesta,
che dal fuoco infernal qui tutto esala. —
Il duca stupefatto allor s'arresta,
e dice all'ombra: — Se Dio tronchi ogni ala
al fumo, sì ch'a te più non ascenda,
non ti dispiaccia che 'l tuo stato intenda.
10
E se vuoi che di te porti novella
nel mondo su, per satisfarti sono. —
L'ombra rispose: — Alla luce alma e bella
tornar per fama ancor sì mi par buono,
che le parole è forza che mi svella
il gran desir c'ho d'aver poi tal dono,
e che 'l mio nome e l'esser mio ti dica,
ben che 'l parlar mi sia noia e fatica. —
11
E cominciò: — Signor, Lidia sono io,
del re di Lidia in grande altezza nata,
qui dal giudicio altissimo di Dio
al fumo eternamente condannata,
per esser stata al fido amante mio,
mentre io vissi, spiacevole ed ingrata.
D'altre infinite è questa grotta piena,
poste per simil fallo in simil pena.
12
Sta la cruda Anassarete più al basso,
ove è maggiore il fumo e più martire.
Restò converso al mondo il corpo in sasso
e l'anima qua giù venne a patire,
poi che veder per lei l'afflitto e lasso
suo amante appeso poté sofferire.
Qui presso è Dafne, ch'or s'avvede quanto
errasse a fare Apollo correr tanto.
13
Lungo saria se gl'infelici spirti
de le femine ingrate, che qui stanno,
volesse ad uno ad uno riferirti;
che tanti son, ch'in infinito vanno.
Più lungo ancor saria gli uomini dirti,
a' quai l'essere ingrato ha fatto danno,
e che puniti sono in peggior loco,
ove il fumo gli accieca, e cuoce il fuoco.
14
Perché le donne più facili e prone
a creder son, di più supplicio è degno
chi lor fa inganno. Il sa Teseo e Iasone
e chi turbò a Latin l'antiquo regno;
sallo ch'incontra sé il frate Absalone
per Tamar trasse a sanguinoso sdegno;
ed altri ed altre: che sono infiniti,
che lasciato han chi moglie e chi mariti.
15
Ma per narrar di me più che d'altrui,
e palesar l'error che qui mi trasse,
bella, ma altiera più, sì in vita fui,
che non so s'altra mai mi s'aguagliasse:
né ti saprei ben dir, di questi dui,
s'in me l'orgoglio o la beltà avanzasse;
quantunque il fasto o l'alterezza nacque
da la beltà ch'a tutti gli occhi piacque.
16
Era in quel tempo in Tracia un cavalliero
estimato il miglior del mondo in arme,
il qual da più d'un testimonio vero
di singular beltà sentì lodarme;
tal che spontaneamente fe' pensiero
di volere il suo amor tutto donarme,
stimando meritar per suo valore,
che caro aver di lui dovessi il core.
17
In Lidia venne; e d'un laccio più forte
vinto restò, poi che veduta m'ebbe.
Con gli altri cavallier si messe in corte
del padre mio, dove in gran fama crebbe.
L'alto valore e le più d'una sorte
prodezze che mostrò, lungo sarebbe
a raccontarti, e il suo merto infinito,
quando egli avesse a più grato uom servito.
18
Panfilia e Caria e il regno de' Cilici
per opra di costui mio padre vinse;
che l'esercito mai contra i nimici,
se non quanto volea costui, non spinse.
Costui, poi che gli parve i benefici
suoi meritarlo, un dì col re si strinse
a domandargli in premio de le spoglie
tante arrecate, ch'io fossi sua moglie.
19
Fu repulso dal re, ch'in grande stato
maritar disegnava la figliuola,
non a costui che cavallier privato
altro non tien che la virtude sola:
e 'l padre mio troppo al guadagno dato,
e all'avarizia, d'ogni vizio scuola,
tanto apprezza costumi, o virtù ammira,
quanto l'asino fa il suon de la lira.
20
Alceste, il cavallier di ch'io ti parlo
(che così nome avea), poi che si vede
repulso da chi più gratificarlo
era più debitor, commiato chiede;
e lo minaccia, nel partir, di farlo
pentir che la figliuola non gli diede.
Se n'andò al re d'Armenia, emulo antico
del re di Lidia e capital nimico;
21
e tanto stimulò, che lo dispose
a pigliar l'arme e far guerra a mio padre.
Esso per l'opre sue chiare e famose
fu fatto capitan di quelle squadre.
Pel re d'Armenia tutte l'altre cose
disse ch'acquisteria: sol le leggiadre
e belle membra mie volea per frutto
de l'opra sua, vinto ch'avesse il tutto.
22
Io non ti potre' esprimere il gran danno
ch'Alceste al padre mio fa in quella guerra.
Quattro eserciti rompe, e in men d'un anno
lo mena a tal, che non gli lascia terra,
fuor ch'un castel ch'alte pendici fanno
fortissimo; e là dentro il re si serra
con la famiglia che più gli era accetta,
e col tesor che trar vi puote in fretta.
23
Quivi assedionne Alceste; ed in non molto
termine a tal disperazion ne trasse,
che per buon patto avria mio padre tolto
che moglie e serva ancor me gli lasciasse
con la metà del regno, s'indi assolto
restar d'ogni altro danno si sperasse.
Vedersi in breve de l'avanzo privo
era ben certo, e poi morir captivo.
24
Tentar, prima ch'accada, si dispone
ogni rimedio che possibil sia;
e me, che d'ogni male era cagione,
fuor de la rocca, ov'era Alceste invia.
Io vo ad Alceste con intenzione
di dargli in preda la persona mia,
e pregar che la parte che vuol tolga
del regno nostro, e l'ira in pace volga.
25
Come ode Alceste ch'io vo a ritrovarlo,
mi viene incontra pallido e tremante:
di vinto e di prigione, a riguardarlo,
più che di vincitore, have sembiante.
Io che conosco ch'arde, non gli parlo
sì come avea già disegnato inante:
vista l'occasion, fo pensier nuovo
conveniente al grado in ch'io lo trovo.
26
A maledir comincio l'amor d'esso,
e di sua crudeltà troppo a dolermi,
ch'iniquamente abbia mio padre oppresso,
e che per forza abbia cercato avermi;
che con più grazia gli saria successo
indi a non molti dì, se tener fermi
saputo avesse i modi cominciati,
ch'al re ed a tutti noi sì furon grati.
27
E se ben da principio il padre mio
gli avea negata la domanda onesta
(però che di natura è un poco rio,
né mai si piega alla prima richiesta),
farsi per ciò di ben servir restio
non doveva egli, e aver l'ira sì presta;
anzi, ognor meglio oprando, tener certo
venire in breve al desiato merto.
28
E quando anco mio padre a lui ritroso
stato fosse, io l'avrei tanto pregato,
ch'avria l'amante mio fatto mio sposo.
Pur, se veduto io l'avessi ostinato,
avrei fatto tal opra di nascoso,
che di me Alceste si saria lodato.
Ma poi ch'a lui tentar parve altro modo,
io di mai non l'amar fisso avea il chiodo.
29
E se ben era a lui venuta, mossa
da la pietà ch'al mio padre portava,
sia certo che non molto fruir possa
il piacer ch'al dispetto mio gli dava;
ch'era per far di me la terra rossa,
tosto ch'io avessi alla sua voglia prava
con questa mia persona satisfatto
di quel che tutto a forza saria fatto.
30
Queste parole e simili altre usai,
poi che potere in lui mi vidi tanto;
e 'l più pentito lo rendei, che mai
si trovasse ne l'eremo alcun santo.
Mi cadde a' piedi, e supplicommi assai,
che col coltel che si levò da canto
(e volea in ogni modo ch'io 'l pigliassi)
di tanto fallo suo mi vendicassi.
31
Poi ch'io lo trovo tale, io fo disegno
la gran vittoria insin al fin seguire:
gli do speranza di farlo anco degno
che la persona mia potrà fruire,
s'emendando il suo error, l'antiquo regno
al padre mio farà restituire;
e nel tempo a venir vorrà acquistarme
servendo, amando, e non mai più per arme.
32
Così far mi promesse, e ne la rocca
intatta mi mandò, come a lui venni,
né di baciarmi pur s'ardì la bocca:
vedi s'al collo il giogo ben gli tenni;
vedi se bene Amor per me lo tocca,
se convien che per lui più strali impenni.
Al re d'Armenia andò, di cui dovea
esser per patto ciò che si prendea:
33
e con quel miglior modo ch'usar puote,
lo priega ch'al mio padre il regno lassi,
del qual le terre ha depredate e vote,
ed a goder l'antiqua Armenia passi.
Quel re, d'ira infiammando ambe le gote,
disse ad Alceste che non vi pensassi;
che non si volea tor da quella guerra,
fin che mio padre avea palmo di terra.
34
E s'Alceste è mutato alle parole
d'una vil feminella, abbiasi il danno.
Già a' prieghi esso di lui perder non vuole
quel ch'a fatica ha preso in tutto un anno.
Di nuovo Alceste il priega, e poi si duole
che seco effetto i prieghi suoi non fanno.
All'ultimo s'adira, e lo minaccia
che vuol, per forza o per amor, lo faccia.
35
L'ira multiplicò sì, che li spinse
da le male parole ai peggior fatti.
Alceste contra il re la spada strinse
fra mille ch'in suo aiuto s'eran tratti,
e mal grado lor tutti, ivi l'estinse;
e quel dì ancor gli Armeni ebbe disfatti,
con l'aiuto de' Cilici e de' Traci
che pagava egli, e d'altri suoi seguaci.
36
Seguitò la vittoria, ed a sue spese,
senza dispendio alcun del padre mio,
ne rendé tutto il regno in men d'un mese.
Poi per ricompensarne il danno rio,
oltr'alle spoglie che ne diede, prese
in parte, e gravò in parte di gran fio
Armenia e Capadocia che confina,
e scorse Ircania fin su la marina.
37
In luogo di trionfo, al suo ritorno,
facemmo noi pensier dargli la morte.
Restammo poi, per non ricever scorno;
che lo veggiàn troppo d'amici forte.
Fingo d'amarlo, e più di giorno in giorno
gli do speranza d'essergli consorte;
ma prima contra altri nimici nostri
dico voler che sua virtù dimostri.
38
E quando sol, quando con poca gente
lo mando a strane imprese e perigliose,
da farne morir mille agevolmente:
ma lui successer ben tutte le cose;
che tornò con vittoria, e fu sovente
con orribil persone e mostruose,
con Griganti a battaglia e Lestrigoni,
ch'erano infesti a nostre regioni.
39
Non fu da Euristeo mai, non fu mai tanto
da la matrigna esercitato Alcide
in Lerna, in Nemea, in Tracia, in Erimanto,
alle valli d'Etolia, alle Numide,
sul Tevre, su l'Ibero e altrove; quanto
con prieghi finti e con voglie omicide
esercitato fu da me il mio amante,
cercando io pur di torlomi davante.
40
Né potendo venire al primo intento,
vengone ad un di non minore effetto:
gli fo quei tutti ingiuriar, ch'io sento
che per lui sono, e a tutti in odio il metto.
Egli che non sentia maggior contento
che d'ubbidirmi, senza alcun rispetto
le mani ai cenni miei sempre avea pronte,
senza guardare un più d'un altro in fronte.
41
Poi che mi fu, per questo mezzo, aviso
spento aver del mio padre ogni nimico,
e per lui stesso Alceste aver conquiso,
che non si avea, per noi, lasciato amico;
quel ch'io gli avea con simulato viso
celato fin allor, chiaro gli esplico:
che grave e capitale odio gli porto,
e pur tuttavia cerco che sia morto.
42
Considerando poi, s'io lo facessi,
ch'in publica ignominia ne verrei
(sapeasi troppo quanto io gli dovessi,
e crudel detta sempre ne sarei),
mi parve fare assai ch'io gli togliessi
di mai venir più inanzi agli occhi miei.
Né veder né parlar mai più gli volsi,
né messo udi', né lettera ne tolsi.
43
Questa mia ingratitudine gli diede
tanto martìr, ch'al fin dal dolor vinto,
e dopo un lungo domandar mercede,
infermo cadde, e ne rimase estinto.
Per pena ch'al fallir mio si richiede,
or gli occhi ho lacrimosi, e il viso tinto
del negro fumo: e così avrò in eterno;
che nulla redenzione è ne l'inferno. —
44
Poi che non parla più Lidia infelice,
va il duca per saper s'altri vi stanzi:
ma la caligine alta ch'era ultrice
de l'opre ingrate, si gl'ingrossa inanzi,
ch'andare un palmo sol più non gli lice;
anzi a forza tornar gli conviene, anzi,
perché la vita non gli sia intercetta
dal fumo, i passi accelerar con fretta.
45
Il mutar spesso de le piante ha vista
di corso, e non di chi passeggia o trotta.
Tanto, salendo inverso l'erta, acquista,
che vede dove aperta era la grotta;
e l'aria, già caliginosa e trista,
dal lume cominciava ad esser rotta.
Al fin con molto affanno e grave ambascia
esce de l'antro, e dietro il fumo lascia.
46
E perché del tornar la via sia tronca
a quelle bestie c'han sì ingorde l'epe,
raguna sassi, e molti arbori tronca,
che v'eran qual d'amomo e qual di pepe;
e come può, dinanzi alla spelonca
fabrica di sua man quasi una siepe:
e gli succede così ben quell'opra,
che più l'arpie non torneran di sopra.
47
Il negro fumo de la scura pece,
mentre egli fu ne la caverna tetra,
non macchiò sol quel ch'apparia, ed infece,
ma sotto i panni ancora entra e penètra;
sì che per trovare acqua andar lo fece
cercando un pezzo; e al fin fuor d'una pietra
vide una fonte uscir ne la foresta,
ne la qual si lavò dal piè alla testa.
48
Poi monta il volatore, e in aria s'alza
per giunger di quel monte in su la cima,
che non lontan con la superna balza
dal cerchio de la luna esser si stima.
Tanto è il desir che di veder lo 'ncalza,
ch'al cielo aspira, e la terra non stima.
De l'aria più e più sempre guadagna,
tanto ch'al giogo va de la montagna.
49
Zafir, rubini, oro, topazi e perle,
e diamanti e crisoliti e iacinti
potriano i fiori assimigliar, che per le
liete piaggie v'avea l'aura dipinti:
sì verdi l'erbe, che possendo averle
qua giù, ne fôran gli smeraldi vinti;
né men belle degli arbori le frondi,
e di frutti e di fior sempre fecondi.
50
Cantan fra i rami gli augelletti vaghi
azzurri e bianchi e verdi e rossi e gialli.
Murmuranti ruscelli e cheti laghi
di limpidezza vincono i cristalli.
Una dolce aura che ti par che vaghi
a un modo sempre e dal suo stil non falli,
facea sì l'aria tremolar d'intorno,
che non potea noiar calor del giorno:
51
e quella ai fiori, ai pomi e alla verzura
gli odor diversi depredando giva,
e di tutti faceva una mistura
che di soavità l'alma notriva.
Surgea un palazzo in mezzo alla pianura,
ch'acceso esser parea di fiamma viva:
tanto splendore intorno e tanto lume
raggiava, fuor d'ogni mortal costume.
52
Astolfo il suo destrier verso il palagio
che più di trenta miglia intorno aggira,
a passo lento fa muovere ad agio,
e quinci e quindi il bel paese ammira;
e giudica, appo quel, brutto e malvagio,
e che sia al ciel ed a natura in ira
questo ch'abitian noi fetido mondo:
tanto è soave quel, chiaro e giocondo.
53
Come egli è presso al luminoso tetto,
attonito riman di maraviglia;
che tutto d'una gemma è 'l muro schietto,
più che carbonchio lucida e vermiglia.
O stupenda opra, o dedalo architetto!
Qual fabrica tra noi le rassimiglia?
Taccia qualunque le mirabil sette
moli del mondo in tanta gloria mette.
54
Nel lucente vestibulo di quella
felice casa un vecchio al duca occorre,
che 'l manto ha rosso, e bianca la gonnella,
che l'un può al latte, e l'altro al minio opporre.
I crini ha bianchi, e bianca la mascella
di folta barba ch'al petto discorre;
ed è sì venerabile nel viso,
ch'un degli eletti par del paradiso.
55
Costui con lieta faccia al paladino,
che riverente era d'arcion disceso,
disse: — O baron, che per voler divino
sei nel terrestre paradiso asceso;
come che né la causa del camino,
né il fin del tuo desir da te sia inteso;
pur credi che non senza alto misterio
venuto sei da l'artico emisperio.
56
Per imparar come soccorrer déi
Carlo, e la santa fé tor di periglio
venuto meco a consigliar ti sei
per così lunga via, senza consiglio.
Né a tuo saper, né a tua virtù vorrei
ch'esser qui giunto attribuissi, o figlio;
che né il tuo corno, né il cavallo alato
ti valea, se da Dio non t'era dato.
57
Ragionerem più ad agio insieme poi,
e ti dirò come a procedere hai:
ma prima vienti a ricrear con noi;
che 'l digiun lungo de' noiarti ormai. —
Continuando il vecchio i detti suoi,
fece meravigliare il duca assai,
quando scoprendo il nome suo, gli disse
esser colui che l'evangelio scrisse:
58
quel tanto al Redentor caro Giovanni,
per cui il sermone tra i fratelli uscìo,
che non dovea per morte finir gli anni;
sì che fu causa che 'l figliuol di Dio
a Pietro disse: — Perché pur t'affanni,
s'io vo' che così aspetti il venir mio? —
Ben che non disse: egli non de' morire,
si vede pur che così volse dire.
59
Quivi fu assunto, e trovò compagnia,
che prima Enoch, il patriarca, v'era;
eravi insieme il gran profeta Elia,
che non han vista ancor l'ultima sera;
e fuor de l'aria pestilente e ria
si goderan l'eterna primavera,
fin che dian segno l'angeliche tube,
che torni Cristo in su la bianca nube.
60
Con accoglienza grata il cavalliero
fu dai santi alloggiato in una stanza;
fu provisto in un'altra al suo destriero
di buona biada, che gli fu a bastanza.
De' frutti a lui del paradiso diero,
di tal sapor, ch'a suo giudicio, sanza
scusa non sono i duo primi parenti,
se per quei fur sì poco ubbidienti.
61
Poi ch'a natura il duca aventuroso
satisfece di quel che se le debbe,
come col cibo, così col riposo,
che tutti e tutti i commodi quivi ebbe;
lasciando già l'Aurora il vecchio sposo,
ch'ancor per lunga età mai non l'increbbe,
si vide incontra ne l'uscir del letto
il discipul da Dio tanto diletto;
62
che lo prese per mano, e seco scorse
di molte cose di silenzio degne:
e poi disse: — Figliuol, tu non sai forse
che in Francia accada, ancor che tu ne vegne.
Sappi che 'l vostro Orlando, perché torse
dal camin dritto le commesse insegne,
è punito da Dio, che più s'accende
contra chi egli ama più, quando s'offende.
63
Il vostro Orlando, a cui nascendo diede
somma possanza Dio con sommo ardire,
e fuor de l'uman uso gli concede
che ferro alcun non lo può mai ferire;
perché a difesa di sua santa fede
così voluto l'ha costituire,
come Sansone incontra a' Filistei
costituì a difesa degli Ebrei:
64
renduto ha il vostro Orlando al suo Signore
di tanti benefici iniquo merto;
che quanto aver più lo dovea in favore,
n'è stato il fedel popul più deserto.
Sì accecato l'avea l'incesto amore
d'una pagana, ch'avea già sofferto
due volte e più venire empio e crudele,
per dar la morte al suo cugin fedele.
65
E Dio per questo fa ch'egli va folle,
e mostra nudo il ventre, il petto e il fianco;
e l'intelletto sì gli offusca e tolle,
che non può altrui conoscere, e sé manco.
A questa guisa si legge che volle
Nabuccodonosor Dio punir anco,
che sette anni il mandò il furor pieno,
sì che, qual bue, pasceva l'erba e il fieno.
66
Ma perch'assai minor del paladino,
che di Nabucco, è stato pur l'eccesso,
sol di tre mesi dal voler divino
a purgar questo error termine è messo.
Né ad altro effetto per tanto camino
salir qua su t'ha il Redentor concesso,
se non perché da noi modo tu apprenda,
come ad Orlando il suo senno si renda.
67
Gli è ver che ti bisogna altro viaggio
far meco, e tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio de la luna a menar t'aggio,
che dei pianeti a noi più prossima erra,
perché la medicina che può saggio
rendere Orlando, là dentro si serra.
Come la luna questa notte sia
sopra noi giunta, ci porremo in via. —
68
Di questo e d'altre cose fu diffuso
il parlar de l'apostolo quel giorno.
Ma poi che 'l sol s'ebbe nel mar rinchiuso,
e sopra lor levò la luna il corno,
un carro apparecchiòsi, ch'era ad uso
d'andar scorrendo per quei cieli intorno:
quel già ne le montagne di Giudea
da' mortali occhi Elia levato avea.
69
Quattro destrier via più che fiamma rossi
al giogo il santo evangelista aggiunse;
e poi che con Astolfo rassettossi,
e prese il freno, inverso il ciel li punse.
Ruotando il carro, per l'aria levossi,
e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;
che 'l vecchio fe' miracolosamente,
che, mentre lo passar, non era ardente.
70
Tutta la sfera varcano del fuoco,
ed indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la più parte esser quel loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano uguale, o minor poco
di ciò ch'in questo globo si raguna,
in questo ultimo globo de la terra,
mettendo il mar che la circonda e serra.
71
Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:
che quel paese appresso era sì grande,
il quale a un picciol tondo rassimiglia
a noi che lo miriam da queste bande;
e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s'indi la terra e 'l mar ch'intorno spande,
discerner vuol; che non avendo luce,
l'imagin lor poco alta si conduce.
72
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.
73
Non stette il duca a ricercar il tutto;
che là non era asceso a quello effetto.
Da l'apostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto
ciò che si perde o per nostro diffetto,
o per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò che si perde qui, là si raguna.
74
Non pur di regni o di ricchezze parlo,
in che la ruota instabile lavora;
ma di quel ch'in poter di tor, di darlo
non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è là su, che, come tarlo,
il tempo al lungo andar qua giù divora:
là su infiniti prieghi e voti stanno,
che da noi peccatori a Dio si fanno.
75
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l'inutil tempo che si perde a giuoco,
e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.
76
Passando il paladin per quelle biche,
or di questo or di quel chiede alla guida.
Vide un monte di tumide vesiche,
che dentro parea aver tumulti e grida;
e seppe ch'eran le corone antiche
e degli Assiri e de la terra lida,
e de' Persi e de' Greci, che già furo
incliti, ed or n'è quasi il nome oscuro.
77
Ami d'oro e d'argento appresso vede
in una massa, ch'erano quei doni
che si fan con speranza di mercede
ai re, agli avari principi, ai patroni.
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
ed ode che son tutte adulazioni.
Di cicale scoppiate imagine hanno
versi ch'in laude dei signor si fanno.
78
Di nodi d'oro e di gemmati ceppi
vede c'han forma i mal seguiti amori.
V'eran d'aquile artigli; e che fur, seppi,
l'autorità ch'ai suoi danno i signori.
I mantici ch'intorno han pieni i greppi,
sono i fumi dei principi e i favori
che danno un tempo ai ganimedi suoi,
che se ne van col fior degli anni poi.
79
Ruine di cittadi e di castella
stavan con gran tesor quivi sozzopra.
Domanda, e sa che son trattati, e quella
congiura che sì mal par che si cuopra.
Vide serpi con faccia di donzella,
di monetieri e di ladroni l'opra:
poi vide bocce rotte di più sorti,
ch'era il servir de le misere corti.
80
Di versate minestre una gran massa
vede, e domanda al suo dottor ch'importe.
— L'elemosina è (dice) che si lassa
alcun, che fatta sia dopo la morte. —
Di vari fiori ad un gran monte passa,
ch'ebbe già buono odore, or putia forte.
Questo era il dono (se però dir lece)
che Costantino al buon Silvestro fece.
81
Vide gran copia di panie con visco,
ch'erano, o donne, le bellezze vostre.
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
le cose che gli fur quivi dimostre;
che dopo mille e mille io non finisco,
e vi son tutte l'occurrenze nostre:
sol la pazzia non v'è poca né assai;
che sta qua giù, né se ne parte mai.
82
Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,
ch'egli già avea perduti, si converse;
che se non era interprete con lui,
non discernea le forme lor diverse.
Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,
che mai per esso a Dio voti non ferse;
io dico il senno: e n'era quivi un monte,
solo assai più che l'altre cose conte.
83
Era come un liquor suttile e molle,
atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
e si vedea raccolto in varie ampolle,
qual più, qual men capace, atte a quell'uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
signor d'Anglante era il gran senno infuso;
e fu da l'altre conosciuta, quando
avea scritto di fuor: Senno d'Orlando.
84
E così tutte l'altre avean scritto anco
il nome di color di chi fu il senno.
Del suo gran parte vide il duca franco;
ma molto più maravigliar lo fenno
molti ch'egli credea che dramma manco
non dovessero averne, e quivi dénno
chiara notizia che ne tenean poco;
che molta quantità n'era in quel loco.
85
Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de' signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
ed altri in altro che più d'altro aprezze.
Di sofisti e d'astrologhi raccolto,
e di poeti ancor ve n'era molto.
86
Astolfo tolse il suo; che gliel concesse
lo scrittor de l'oscura Apocalisse.
L'ampolla in ch'era al naso sol si messe,
e par che quello al luogo suo ne gisse:
e che Turpin da indi in qua confesse
ch'Astolfo lungo tempo saggio visse;
ma ch'uno error che fece poi, fu quello
ch'un'altra volta gli levò il cervello.
87
La più capace e piena ampolla, ov'era
il senno che solea far savio il conte,
Astolfo tolle; e non è sì leggiera,
come stimò, con l'altre essendo a monte.
Prima che 'l paladin da quella sfera
piena di luce alle più basse smonte,
menato fu da l'apostolo santo
in un palagio ov'era un fiume a canto;
88
ch'ogni sua stanza avea piena di velli
di lin, di seta, di coton, di lana,
tinti in vari colori e brutti e belli.
Nel primo chiostro una femina cana
fila a un aspo traea da tutti quelli,
come veggiàn l'estate la villana
traer dai bachi le bagnate spoglie,
quando la nuova seta si raccoglie.
89
V'è chi, finito un vello, rimettendo
ne viene un altro, e chi ne porta altronde:
un'altra de le filze va scegliendo
il bel dal brutto che quella confonde.
— Che lavor si fa qui, ch'io non l'intendo? —
dice a Giovanni Astolfo; e quel risponde:
— Le vecchie son le Parche, che con tali
stami filano vite a voi mortali.
90
Quanto dura un de' velli, tanto dura
l'umana vita, e non di più un momento.
Qui tien l'occhio e la Morte e la Natura,
per saper l'ora ch'un debba esser spento.
Sceglier le belle fila ha l'altra cura,
perché si tesson poi per ornamento
del paradiso; e dei più brutti stami
si fan per li dannati aspri legami. —
91
Di tutti i velli ch'erano già messi
in aspo, e scelti a farne altro lavoro,
erano in brevi piastre i nomi impressi,
altri di ferro, altri d'argento o d'oro:
e poi fatti n'avean cumuli spessi,
de' quali, senza mai farvi ristoro,
portarne via non si vedea mai stanco
un vecchio, e ritornar sempre per anco.
92
Era quel vecchio sì espedito e snello,
che per correr parea che fosse nato;
e da quel monte il lembo del mantello
portava pien del nome altrui segnato.
Ove n'andava, e perché facea quello,
ne l'altro canto vi sarà narrato,
se d'averne piacer segno farete
con quella grata udienza che solete.
CANTO TRENTACINQUESIMO
1
Chi salirà per me, madonna, in cielo
a riportarne il mio perduto ingegno?
che, poi ch'uscì da' bei vostri occhi il telo
che 'l cor mi fisse, ognor perdendo vegno.
Né di tanta iattura mi querelo,
pur che non cresca, ma stia a questo segno;
ch'io dubito, se più si va scemando,
di venir tal, qual ho descritto Orlando.
2
Per riaver l'ingegno mio m'è aviso
che non bisogna che per l'aria io poggi
nel cerchio de la luna o in paradiso;
che 'l mio non credo che tanto alto alloggi.
Ne' bei vostri occhi e nel sereno viso,
nel sen d'avorio e alabastrini poggi
se ne va errando; ed io con queste labbia
lo corrò, se vi par ch'io lo riabbia.
3
Per gli ampli tetti andava il paladino
tutte mirando le future vite,
poi ch'ebbe visto sul fatal molino
volgersi quelle ch'erano già ordite:
e scorse un vello che più che d'or fino
splender parea; né sarian gemme trite,
s'in filo si tirassero con arte,
da comparargli alla millesma parte.
4
Mirabilmente il bel vello gli piacque,
che tra infiniti paragon non ebbe;
e di sapere alto disio gli nacque,
quando sarà tal vita, e a chi si debbe.
L'evangelista nulla gliene tacque:
che venti anni principio prima avrebbe
che col . M. e col . D. fosse notato
l'anno corrente dal Verbo incarnato,
5
E come di splendore e di beltade
quel vello non avea simile o pare,
così saria la fortunata etade
che dovea uscirne al mondo singulare;
perché tutte le grazie inclite e rade
ch'alma Natura, o proprio studio dare,
o benigna Fortuna ad uomo puote,
avrà in perpetua ed infallibil dote.
6
— Del re de' fiumi tra l'altiere corna
or siede umil (diceagli) e piccol borgo:
dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna
d'alta palude un nebuloso gorgo;
che, volgendosi gli anni, la più adorna
di tutte le città d'Italia scorgo,
non pur di mura e d'ampli tetti regi,
ma di bei studi e di costumi egregi.
7
Tanta esaltazione e così presta,
non fortuìta o d'aventura casca;
ma l'ha ordinata il ciel, perché sia questa
degna in che l'uom di ch'io ti parlo, nasca:
che, dove il frutto ha da venir, s'inesta
e con studio si fa crescer la frasca;
e l'artefice l'oro affinar suole,
in che legar gemma di pregio vuole.
8
Né sì leggiadra né sì bella veste
unque ebbe altr'alma in quel terrestre regno;
e raro è sceso e scenderà da queste
sfere superne un spirito sì degno,
come per farne Ippolito da Este
n'have l'eterna mente alto disegno.
Ippolito da Este sarà detto
l'uom a chi Dio sì ricco dono ha eletto.
9
Quegli ornamenti che divisi in molti,
a molti basterian per tutti ornarli,
in suo ornamento avrà tutti raccolti
costui, di c'hai voluto ch'io ti parli.
Le virtudi per lui, per lui soffolti
saran gli studi; e s'io vorrò narrar li
alti suoi merti, al fin son sì lontano,
ch'Orlando il senno aspetterebbe invano. —
10
Così venìa l'imitator di Cristo
ragionando col duca: e poi che tutte
le stanze del gran luogo ebbono visto,
onde l'umane vite eran condutte,
sul fiume usciro, che d'arena misto
con l'onde discorrea turbide e brutte;
e vi trovar quel vecchio in su la riva,
che con gl'impressi nomi vi veniva.
11
Non so se vi sia a mente, io dico quello
ch'al fin de l'altro canto vi lasciai,
vecchio di faccia, e sì di membra snello,
che d'ogni cervio è più veloce assai.
Degli altrui nomi egli si empìa il mantello;
scemava il monte, e non finiva mai:
ed in quel fiume che Lete si noma,
scarcava, anzi perdea la ricca soma.
12
Dico che, come arriva in su la sponda
del fiume, quel prodigo vecchio scuote
il lembo pieno, e ne la turbida onda
tutte lascia cader l'impresse note.
Un numer senza fin se ne profonda,
ch'un minimo uso aver non se ne puote;
e di cento migliaia che l'arena
sul fondo involve, un se ne serva a pena.
13
Lungo e d'intorno quel fiume volando
givano corvi ed avidi avoltori,
mulacchie e vari augelli, che gridando
facean discordi strepiti e romori;
ed alla preda correan tutti, quando
sparger vedean gli amplissimi tesori:
e chi nel becco, e chi ne l'ugna torta
ne prende; ma lontan poco li porta.
14
Come vogliono alzar per l'aria i voli,
non han poi forza che 'l peso sostegna;
sì che convien che Lete pur involi
de' ricchi nomi la memoria degna.
Fra tanti augelli son duo cigni soli,
bianchi, Signor, come è la vostra insegna,
che vengon lieti riportando in bocca
sicuramente il nome che lor tocca.
15
Così contra i pensieri empi e maligni
del vecchio che donar li vorria al fiume,
alcuno ne salvan gli augelli benigni:
tutto l'avanzo oblivion consume.
Or se ne van notando i sacri cigni,
ed or per l'aria battendo le piume,
fin che presso alla ripa del fiume empio
trovano un colle, e sopra il colle un tempio.
16
All'Immortalitade il luogo è sacro,
ove una bella ninfa giù del colle
viene alla ripa del leteo lavacro,
e di bocca dei cigni i nomi tolle;
e quelli affige intorno al simulacro
ch'in mezzo il tempio una colonna estolle,
quivi li sacra, e ne fa tal governo,
che vi si pôn veder tutti in eterno.
17
Chi sia quel vecchio, e perché tutti al rio
senza alcun frutto i bei nomi dispensi,
e degli augelli, e di quel luogo pio
onde la bella ninfa al fiume viensi,
aveva Astolfo di saper desio
i gran misteri e gl'incogniti sensi;
e domandò di tutte queste cose
l'uomo di Dio, che così gli rispose:
18
— Tu déi saper che non si muove fronda
là giù che segno qui non se ne faccia.
Ogni effetto convien che corrisponda
in terra e in ciel, ma con diversa faccia.
Quel vecchio, la cui barba il petto inonda,
veloce sì che mai nulla l'impaccia,
gli effetti pari e la medesima opra
che 'l Tempo fa là giù, fa qui di sopra.
19
Volte che son le fila in su la ruota,
là giù la vita umana arriva al fine.
La fama là, qui ne riman la nota;
ch'immortali sariano ambe e divine,
se non che qui quel da la irsuta gota,
e là giù il Tempo ognor ne fa rapine.
Questi le getta, come vedi, al rio;
e quel l'immerge ne l'eterno oblio.
20
E come qua su i corvi e gli avoltori
e le mulacchie e gli altri varii augelli
s'affaticano tutti per trar fuori
de l'acqua i nomi che veggion più belli:
così là giù ruffiani, adulatori,
buffon, cinedi, accusatori, e quelli
che viveno alle corti e che vi sono
più grati assai che 'l virtuoso e 'l buono,
21
e son chiamati cortigian gentili,
perché sanno imitar l'asino e 'l ciacco;
de' lor signor, tratto che n'abbia i fili
la giusta Parca, anzi Venere e Bacco,
questi di ch'io ti dico, inerti e vili,
nati solo ad empir di cibo il sacco,
portano in bocca qualche giorno il nome;
poi ne l'oblio lascian cader le some.
22
Ma come i cigni che cantando lieti
rendeno salve le medaglie al tempio,
così gli uomini degni da' poeti
son tolti da l'oblio, più che morte empio.
Oh bene accorti principi e discreti,
che seguite di Cesare l'esempio,
e gli scrittor vi fate amici, donde
non avete a temer di Lete l'onde!
23
Son, come i cigni, anco i poeti rari,
poeti che non sian del nome indegni;
sì perché il ciel degli uomini preclari
non pate mai che troppa copia regni,
sì per gran colpa dei signori avari
che lascian mendicare i sacri ingegni;
che le virtù premendo, ed esaltando
i vizi, caccian le buone arti in bando.
24
Credi che Dio questi ignoranti ha privi
de lo 'ntelletto, e loro offusca i lumi;
che de la poesia gli ha fatto schivi,
acciò che morte il tutto ne consumi.
Oltre che del sepolcro uscirian vivi,
ancor ch'avesser tutti i rei costumi,
pur che sapesson farsi amica Cirra,
più grato odore avrian che nardo o mirra.
25
Non sì pietoso Enea, né forte Achille
fu, come è fama, né sì fiero Ettorre;
e ne son stati e mille e mille e mille
che lor si puon con verità anteporre:
ma i donati palazzi e le gran ville
dai descendenti lor, gli ha fatto porre
in questi senza fin sublimi onori
da l'onorate man degli scrittori.
26
Non fu sì santo né benigno Augusto
come la tuba di Virgilio suona.
L'aver avuto in poesia buon gusto
la proscrizion iniqua gli perdona.
Nessun sapria se Neron fosse ingiusto,
né sua fama saria forse men buona,
avesse avuto e terra e ciel nimici,
se gli scrittor sapea tenersi amici.
27
Omero Agamennòn vittorioso,
e fe' i Troian parer vili ed inerti;
e che Penelopea fida al suo sposo
dai Prochi mille oltraggi avea sofferti.
E se tu vuoi che 'l ver non ti sia ascoso,
tutta al contrario l'istoria converti:
che i Greci rotti, e che Troia vittrice,
e che Penelopea fu meretrice.
28
Da l'altra parte odi che fama lascia
Elissa, ch'ebbe il cor tanto pudico;
che riputata viene una bagascia,
solo perché Maron non le fu amico.
Non ti maravigliar ch'io n'abbia ambascia,
e se di ciò diffusamente io dico.
Gli scrittori amo, e fo il debito mio;
ch'al vostro mondo fui scrittore anch'io.
29
E sopra tutti gli altri io feci acquisto
che non mi può levar tempo né morte:
e ben convenne al mio lodato Cristo
rendermi guidardon di sì gran sorte.
Duolmi di quei che sono al tempo tristo,
quando la cortesia chiuso ha le porte;
che con pallido viso e macro e asciutto
la notte e 'l dì vi picchian senza frutto.
30
Sì che continuando il primo detto,
sono i poeti e gli studiosi pochi;
che dove non han pasco né ricetto,
insin le fere abbandonano i lochi. —
Così dicendo il vecchio benedetto
gli occhi infiammò, che parveno duo fuochi;
poi volto al duca con un saggio riso
tornò sereno il conturbato viso.
31
Resti con lo scrittor de l'evangelo
Astolfo ormai, ch'io voglio far un salto,
quanto sia in terra a venir fin dal cielo;
ch'io non posso più star su l'ali in alto.
Torno alla donna a cui con grave telo
mosso avea gelosia crudele assalto.
Io la lasciai ch'avea con breve guerra
tre re gittati, un dopo l'altro, in terra;
32
e che giunta la sera ad un castello
ch'alla via di Parigi si ritrova,
d'Agramante, che rotto dal fratello
s'era ridotto in Arli, ebbe la nuova.
Certa che 'l suo Ruggier fosse con quello,
tosto ch'apparve in ciel la luce nuova,
verso Provenza, dove ancora intese
che Carlo lo seguia, la strada prese.
33
Verso Provenza per la via più dritta
andando, s'incontrò in una donzella,
ancor che fosse lacrimosa e afflitta,
bella di faccia e di maniere bella.
Questa era quella sì d'amor traffitta
per lo figliuol di Monodante, quella
donna gentil ch'avea lasciato al ponte
l'amante suo prigion di Rodomonte.
34
Ella venìa cercando un cavalliero,
ch'a far battaglia usato, come lontra,
in acqua e in terra fosse, e così fiero,
che lo potesse al pagan porre incontra.
La sconsolata amica di Ruggiero,
come quest'altra sconsolata incontra,
cortesemente la saluta, e poi
le chiede la cagion dei dolor suoi.
35
Fiordiligi lei mira, e veder parle
un cavallier ch'al suo bisogno fia;
e comincia del ponte a ricontarle,
ove impedisce il re d'Algier la via;
e ch'era stato appresso di levarle
l'amante suo: non che più forte sia;
ma sapea darsi il Saracino astuto
col ponte stretto e con quel fiume aiuto.
36
— Se sei (dicea) sì ardito e sì cortese,
come ben mostri l'uno e l'altro in vista,
mi vendica, per Dio, di chi mi prese
il mio signore, e mi fa gir sì trista;
o consigliami almeno in che paese
possa io trovare un ch'a colui resista,
e sappia tanto d'arme e di battaglia,
che 'l fiume e 'l ponte al pagan poco vaglia.
37
Oltre che tu farai quel che conviensi
ad uom cortese e a cavalliero errante,
in beneficio il tuo valor dispensi
del più fedel d'ogni fedele amante.
De l'altre sue virtù non appertiensi
a me narrar; che sono tante e tante,
che chi non n'ha notizia, si può dire
che sia del veder privo e de l'udire. —
38
La magnanima donna, a cui fu grata
sempre ogni impresa che può farla degna
d'esser con laude e gloria nominata,
subito al ponte di venir disegna:
ed ora tanto più, ch'è disperata,
vien volentier, quando anco a morir vegna;
che credendosi, misera! esser priva
del suo Ruggiero, ha in odio d'esser viva.
39
— Per quel ch'io vaglio, giovane amorosa
(rispose Bradamante), io m'offerisco
di far l'impresa dura e perigliosa,
per altre cause ancor, ch'io preterisco;
ma più, che del tuo amante narri cosa
che narrar di pochi uomini avvertisco,
che sia in amor fedel; ch'a fé ti giuro
ch'in ciò pensai ch'ognun fosse pergiuro. —
40
Con un sospir quest'ultime parole
finì, con un sospir ch'uscì dal core;
poi disse: — Andiamo; — e nel seguente sole
giunsero al fiume, al passo pien d'orrore.
Scoperte da la guardia che vi suole
farne segno col corno al suo signore,
il pagan s'arma; e quale è 'l suo costume,
sul ponte s'apparecchia in ripa al fiume:
41
e come vi compar quella guerriera,
di porla a morte subito minaccia,
quando de l'arme e del destrier su ch'era,
al gran sepolcro oblazion non faccia.
Bradamante che sa l'istoria vera,
come per lui morta Issabella giaccia,
che Fiordiligi detto le l'avea,
al Saracin superbo rispondea:
42
— Perché vuoi tu, bestial, che gli innocenti
facciano penitenza del tuo fallo?
Del sangue tuo placar costei convienti:
tu l'uccidesti, e tutto 'l mondo sallo.
Sì che di tutte l'arme e guernimenti
di tanti che gittati hai da cavallo,
oblazione e vittima più accetta
avrà, ch'io te l'uccida in sua vendetta.
43
E di mia man le fia più grato il dono,
quando, come ella fu, son donna anch'io:
né qui venuta ad altro effetto sono,
ch'a vendicarla; e questo sol disio.
Ma far tra noi prima alcun patto è buono,
che 'l tuo valor si compari col mio.
S'abbattuta sarò, di me farai
quel che degli altri tuoi prigion fatt'hai:
44
ma s'io t'abbatto, come io credo e spero,
guadagnar voglio il tuo cavallo e l'armi,
e quelle offerir sole al cimitero,
e tutte l'altre distaccar da' marmi;
e voglio che tu lasci ogni guerriero. —
Rispose Rodomonte: — Giusto parmi
che sia come tu di'; ma i prigion darti
già non potrei, ch'io non gli ho in queste parti.
45
Io gli ho al mio regno in Africa mandati:
ma ti prometto, e ti do ben la fede,
che se m'avvien per casi inopinati
che tu stia in sella e ch'io rimanga a piede,
farò che saran tutti liberati
in tanto tempo quanto si richiede
di dare a un messo ch'in fretta si mandi
e far quel che, s'io perdo, mi commandi.
46
Ma s'a te tocca star di sotto, come
piu si conviene, e certo so che fia,
non vo' che lasci l'arme, né il tuo nome,
come di vinta, sottoscritto sia:
al tuo bel viso, a' begli occhi, alle chiome,
che spiran tutti amore e leggiadria,
voglio donar la mia vittoria; e basti
che ti disponga amarmi, ove m'odiasti.
47
Io son di tal valor, son di tal nerbo,
ch'aver non déi d'andar di sotto a sdegno. —
Sorrise alquanto, ma d'un riso acerbo
che fece d'ira, più che d'altro, segno,
la donna, né rispose a quel superbo;
ma tornò in capo al ponticel di legno,
spronò il cavallo, e con la lancia d'oro
venne a trovar quell'orgoglioso Moro.
48
Rodomonte alla giostra s'apparecchia:
viene a gran corso; ed è sì grande il suono
che rende il ponte, ch'intronar l'orecchia
può forse a molti che lontan ne sono.
La lancia d'oro fe' l'usanza vecchia;
che quel pagan, sì dianzi in giostra buono,
levò di sella, e in aria lo sospese,
indi sul ponte a capo in giù lo stese.
49
Nel trapassar ritrovò a pena loco
ove entrar col destrier quella guerriera;
e fu a gran risco, e ben vi mancò poco,
ch'ella non traboccò ne la riviera:
ma Rabicano, il quale il vento e 'l fuoco
concetto avean, sì destro ed agil era,
che nel margine estremo trovò strada;
e sarebbe ito anco su 'n fil di spada.
50
Ella si volta, e contra l'abbattuto
pagan ritorna; e con leggiadro motto:
— Or puoi (disse) veder chi abbia perduto,
e a chi di noi tocchi di star di sotto. —
Di maraviglia il pagan resta muto,
ch'una donna a cader l'abbia condotto;
e far risposta non poté o non volle,
e fu come uom pien di stupore e folle.
51
Di terra si levò tacito e mesto;
e poi ch'andato fu quattro o sei passi,
lo scudo e l'elmo, e de l'altre arme il resto
tutto si trasse, e gittò contra i sassi;
e solo e a piè fu a dileguarsi presto:
non che commission prima non lassi
a un suo scudier, che vada a far l'effetto
dei prigion suoi, secondo che fu detto.
52
Partissi; e nulla poi più se n'intese,
se non che stava in una grotta scura.
Intanto Bradamante avea sospese
di costui l'arme all'alta sepoltura,
e fattone levar tutto l'arnese,
il qual dei cavallieri, alla scrittura,
conobbe de la corte esser di Carlo;
non levò il resto, e non lasciò levarlo.
53
Oltr'a quel del figliuol di Monodante,
v'è quel di Sansonetto e d'Oliviero,
che per trovare il principe d'Anglante,
quivi condusse il più dritto sentiero.
Quivi fur presi, e furo il giorno inante
mandati via dal Saracino altiero.
Di questi l'arme fe' la donna torre
da l'alta mole, e chiuder ne la torre.
54
Tutte l'altre lasciò pender dai sassi,
che fur spogliate ai cavallier pagani.
V'eran l'arme d'un re, del quale i passi
per Frontalatte mal fur spesi e vani:
io dico l'arme del re de' Circassi,
che dopo lungo errar per colli e piani,
venne quivi a lasciar l'altro destriero;
e poi senz'arme andossene leggiero.
55
S'era partito disarmato e a piede
quel re pagan dal periglioso ponte,
sì come gli altri ch'eran di sua fede,
partir da sé lasciava Rodomonte.
Ma di tornar più al campo non gli diede
il cor; ch'ivi apparir non avria fronte:
che per quel che vantossi, troppo scorno
gli saria farvi in tal guisa ritorno.
56
Di pur cercar nuovo desir lo prese
colei che sol avea fissa nel core.
Fu l'aventura sua, che tosto intese
(io non vi saprei dir chi ne fu autore)
ch'ella tornava verso il suo paese:
onde esso, come il punge e sprona Amore,
dietro alla pesta subito si pone.
Ma tornar voglio alla figlia d'Amone.
57
Poi che narrato ebbe con altro scritto
come da lei fu liberato il passo;
a Fiordiligi ch'avea il core afflitto,
e tenea il viso lacrimoso e basso,
domandò umanamente ov'ella dritto
volea che fosse, indi partendo, il passo.
Rispose Fiordiligi: — Il mio camino
vo' che sia in Arli al campo saracino,
58
ove navilio e buona compagnia
spero trovar da gir ne l'altro lito.
Mai non mi fermerò fin ch'io non sia
venuta al mio signore e mio marito.
Voglio tentar, perché in prigion non stia,
più modi e più; che se mi vien fallito
questo che Rodomonte t'ha promesso,
ne voglio avere uno ed un altro appresso. —
59
— Io m'offerisco (disse Bradamante)
d'accompagnarti un pezzo de la strada,
tanto che tu ti vegga Arli davante,
ove per amor mio vo' che tu vada
a trovar quel Ruggier del re Agramante,
che del suo nome ha piena ogni contrada;
e che gli rendi questo buon destriero,
onde abbattuto ho il Saracino altiero.
60
Voglio ch'a punto tu gli dica questo:
— Un cavallier che di provar si crede,
e fare a tutto 'l mondo manifesto
che contra lui sei mancator di fede;
acciò ti trovi apparecchiato e presto,
questo destrier, perch'io tel dia, mi diede.
Dice che trovi tua piastra e tua maglia,
e che l'aspetti a far teco battaglia. —
61
Digli questo, e non altro; e se quel vuole
saper da te ch'io son, di' che nol sai. —
Quella rispose umana come suole:
— Non sarò stanca in tuo servizio mai,
spender la vita, non che le parole;
che tu ancora per me così fatto hai. —
Grazie le rende Bradamante, e piglia
Frontino, e le lo porge per la briglia.
62
Lungo il fiume le belle e pellegrine
giovani vanno a gran giornate insieme,
tanto che veggono Arli, e le vicine
rive odon risonar del mar che freme.
Bradamante si ferma alle confine
quasi de' borghi ed alle sbarre estreme,
per dare a Fiordiligi atto intervallo,
che condurre a Ruggier possa il cavallo.
63
Vien Fiordiligi, ed entra nel rastrello,
nel ponte e ne la porta; e seco prende
chi le fa compagnia fin all'ostello
ove abita Ruggiero, e quivi scende;
e, secondo il mandato, al damigello
fa l'imbasciata, e il buon Frontin gli rende:
indi va, che risposta non aspetta,
ad eseguire il suo bisogno in fretta.
64
Ruggier riman confuso e in pensier grande,
e non sa ritrovar capo né via
di saper chi lo sfide, e chi gli mande
a dire oltraggio e a fargli cortesia.
Che costui senza fede lo domande,
o possa domandar uomo che sia,
non sa veder né imaginare; e prima,
ch'ogn'altro sia che Bradamante, istima.
65
Che fosse Rodomonte, era più presto
ad aver, che fosse altri, opinione;
e perché ancor da lui debba udir questo,
pensa, né imaginar può la cagione.
Fuor che con lui, non sa di tutto 'l resto
del mondo, con chi lite abbia e tenzone.
Intanto la donzella di Dordona
chiede battaglia, e forte il corno suona.
66
Vien la nuova a Marsilio e ad Agramante,
ch'un cavallier di fuor chiede battaglia.
A caso Serpentin loro era avante,
ed impetrò di vestir piastra e maglia,
e promesse pigliar questo arrogante.
Il popul venne sopra la muraglia;
né fanciullo restò, né restò veglio,
che non fosse a veder chi fêsse meglio.
67
Con ricca sopravesta e bello arnese
Serpentin da la Stella in giostra venne.
Al primo scontro in terra si distese:
il destrier aver parve a fuggir penne.
Dietro gli corse la donna cortese,
e per la briglia al Saracin lo tenne,
e disse: — Monta, e fa che 'l tuo signore
mi mandi un cavallier di te migliore. —
68
Il re african, ch'era con gran famiglia
sopra le mura alla giostra vicino,
del cortese atto assai si maraviglia,
ch'usato ha la donzella a Serpentino.
— Di ragion può pigliarlo, e non lo piglia, —
diceva, udendo il popul saracino.
Serpentin giunge, e come ella commanda,
un miglior da sua parte al re domanda.
69
Grandonio di Volterna furibondo,
il più superbo cavallier di Spagna,
pregando fece sì, che fu il secondo,
ed uscì con minacce alla campagna.
— Tua cortesia nulla ti vaglia al mondo;
che, quando da me vinto tu rimagna,
al mio signor menar preso ti voglio:
ma qui morrai, s'io posso, come soglio. —
70
La donna disse lui: — Tua villania
non vo' che men cortese far mi possa,
ch'io non ti dica che tu torni pria
che sul duro terren ti doglian l'ossa.
Ritorna, e di' al tuo re da parte mia,
che per simile a te non mi son mossa;
ma per trovar guerrier che 'l pregio vaglia,
son qui venuta a domandar battaglia. —
71
Il mordace parlare, acre ed acerbo,
gran fuoco al cor del Saracino attizza;
sì che senza poter replicar verbo,
volta il destrier con colera e con stizza.
Volta la donna, e contra quel superbo
la lancia d'oro e Rabicano drizza.
Come l'asta fatal lo scudo tocca,
coi piedi al cielo il Saracin trabocca.
72
Il destrier la magnanima guerriera
gli prese, e disse: — Pur tel prediss'io,
che far la mia imbasciata meglio t'era,
che de la giostra aver tanto disio.
Di', al re, ti prego, che fuor de la schiera
elegga un cavallier che sia par mio;
né voglia con voi altri affaticarme,
ch'avete poca esperienza d'arme. —
73
Quei da le mura, che stimar non sanno
chi sia il guerriero in su l'arcion sì saldo,
quei più famosi nominando vanno,
che tremar li fan spesso al maggior caldo.
Che Brandimarte sia, molti detto hanno:
la più parte s'accorda esser Rinaldo:
molti su Orlando avrian fatto disegno;
ma il suo caso sapean di pietà degno.
74
La terza giostra il figlio di Lanfusa
chiedendo, disse: — Non che vincer speri,
ma perché di cader più degna scusa
abbian, cadendo anch'io, questi guerrieri. —
E poi di tutto quel ch'in giostra s'usa
si messe in punto; e di cento destrieri
che tenea in stalla, d'un tolse l'eletta,
ch'avea il correre acconcio, e di gran fretta.
75
Contra la donna per giostrar si fece;
ma prima salutolla, ed ella lui.
Disse la donna: — Se saper mi lece,
ditemi in cortesia che siate vui. —
Di questo Ferraù le satisfece,
ch'usò di rado di celarsi altrui.
Ella soggiunse: — Voi già non rifiuto,
ma avria più volentieri altri voluto. —
76
— E chi? — Ferraù disse. Ella rispose:
— Ruggiero; — e a pena il poté proferire,
e sparse d'un color come di rose
la bellissima faccia in questo dire.
Soggiunse al detto poi: — Le cui famose
lode a tal prova m'han fatto venire.
Altro non bramo, e d'altro non mi cale,
che di provar come egli in giostra vale. —
77
Semplicemente disse le parole
che forse alcuno ha già prese a malizia.
Rispose Ferraù: — Prima si vuole
provar tra noi chi sa più di milizia.
Se di me avvien quel che di molti suole,
poi verrà ad emendar la mia tristizia
quel gentil cavallier che tu dimostri
aver tanto desio che teco giostri. —
78
Parlando tuttavolta la donzella
teneva la visiera alta dal viso.
Mirando Ferraù la faccia bella,
si sente rimaner mezzo conquiso,
e taciturno dentro a sé favella:
— Questo un angel mi par del paradiso;
e ancor che con la lancia non mi tocchi,
abbattuto son già da' suoi begli occhi. —
79
Preson del campo; e come agli altri avvenne,
Ferraù se n'uscì di sella netto.
Bradamante il destrier suo gli ritenne,
e disse: — Torna, e serva quel c'hai detto. —
Ferraù vergognoso se ne venne,
e ritrovò Ruggier ch'era al cospetto
del re Agramante; e gli fece sapere
ch'alla battaglia il cavallier lo chere.
80
Ruggier non conoscendo ancor chi fosse
chi a sfidar lo mandava alla battaglia,
quasi certo di vincere, allegrosse;
e le piastre arrecar fece e la maglia:
né l'aver visto alle gravi percosse,
che gli altri sian caduti, il cor gli smaglia.
Come s'armasse, e come uscisse, e quanto
poi ne seguì, lo serbo all'altro canto.
CANTO TRENTASEIESIMO
1
Convien ch'ovunque sia, sempre cortese
sia un cor gentil, ch'esser non può altrimente;
che per natura e per abito prese
quel che di mutar poi non è possente.
Convien ch'ovunque sia, sempre palese
un cor villan si mostri similmente.
Natura inchina al male, e viene a farsi
l'abito poi difficile a mutarsi.
2
Di cortesia, di gentilezza esempi
fra gli antiqui guerrier si vider molti,
e pochi fra i moderni; ma degli empi
costumi avvien ch'assai ne vegga e ascolti
in quella guerra, Ippolito, che i tempi
di segni ornaste agli nimici tolti,
e che traeste lor galee captive
di preda carche alle paterne rive.
3
Tutti gli atti crudeli ed inumani
ch'usasse mai Tartaro o Turco o Moro,
(non già con volontà de' Veneziani,
che sempre esempio di giustizia foro),
usaron l'empie e scelerate mani
di rei soldati, mercenari loro.
Io non dico or di tanti accesi fuochi
ch'arson le ville e i nostri ameni lochi:
4
ben che fu quella ancor brutta vendetta,
massimamente contra voi, ch'appresso
Cesare essendo, mentre Padua stretta
era d'assedio, ben sapea che spesso
per voi più d'una fiamma fu interdetta,
e spento il fuoco ancor, poi che fu messo,
da villaggi e da templi, come piacque,
all'alta cortesia che con voi nacque.
5
Io non parlo di questo né di tanti
altri lor discortesi e crudeli atti;
ma sol di quel che trar dai sassi i pianti
debbe poter, qual volta se ne tratti:
quel dì, Signor, che la famiglia inanti
vostra mandaste là dove ritratti
dai legni lor con importuni auspici
s'erano in luogo forte gl'inimici.
6
Qual Ettorre ed Enea sin dentro ai flutti,
per abbruciar le navi greche, andaro;
un Ercol vidi e un Alessandro, indutti
da troppo ardir, partirsi a paro a paro,
e spronando i destrier, passarci tutti,
e i nemici turbar fin nel riparo,
e gir sì inanzi, ch'al secondo molto
aspro fu il ritornare, e al primo tolto.
7
Salvossi il Ferruffin, restò il Cantelmo.
Che cor, duca di Sora, che consiglio
fu allora il tuo, che trar vedesti l'elmo
fra mille spade al generoso figlio,
e menar preso a nave, e sopra un schelmo
troncargli il capo? Ben mi maraviglio
che darti morte lo spettacol solo
non poté, quanto il ferro a tuo figliuolo.
8
Schiavon crudele, onde hai tu il modo appreso
de la milizia? In qual Scizia s'intende
ch'uccider si debba un, poi che gli è preso,
che rende l'arme, e più non si difende?
Dunque uccidesti lui, perché ha difeso
la patria? Il sole a torto oggi risplende,
crudel seculo, poi che pieno sei
di Tiesti, di Tantali e di Atrei.
9
Festi, barbar crudel, del capo scemo
il più ardito garzon che di sua etade
fosse da un polo e l'altro, e da l'estremo
lito degl'Indi a quello ove il sol cade.
Potea in Antropofàgo, in Polifemo
la beltà e gli anni suoi trovar pietade;
ma non in te, più crudo e più fellone
d'ogni Ciclope e d'ogni Lestrigone.
10
Simile esempio non credo che sia
fra gli antiqui guerrier, di quai li studi
tutti fur gentilezza e cortesia;
né dopo la vittoria erano crudi.
Bradamante non sol non era ria
a quei ch'avea, toccando lor gli scudi,
fatto uscir de la sella, ma tenea
loro i cavalli, e rimontar facea.
11
Di questa donna valorosa e bella
io vi dissi di sopra, che abbattuto
avea Serpentin quel da la Stella,
Grandonio di Volterna e Ferrauto,
e ciascun d'essi poi rimesso in sella;
e dissi ancor che 'l terzo era venuto,
da lei mandato a disfidar Ruggiero,
là dove era stimata un cavalliero.
12
Ruggier tenne lo 'nvito allegramente,
e l'armatura sua fece venire.
Or mentre che s'armava al re presente,
tornaron quei signor di nuovo a dire
chi fosse il cavallier tanto eccellente,
che di lancia sapea sì ben ferire;
e Ferraù, che parlato gli avea,
fu domandato se lo conoscea.
13
Rispose Ferraù: — Tenete certo
che non è alcun di quei ch'avete detto.
A me parea, ch'il vidi a viso aperto,
il fratel di Rinaldo giovinetto:
ma poi ch'io n'ho l'alto valore esperto,
e so che non può tanto Ricciardetto,
penso che sia la sua sorella, molto
(per quel ch'io n'odo) a lui simil di volto.
14
Ella ha ben fama d'esser forte a pare
del suo Rinaldo e d'ogni paladino;
ma, per quanto io ne veggo oggi, mi pare
che val più del fratel, più del cugino. —
Come Ruggier lei sente ricordare,
del vermiglio color che 'l matutino
sparge per l'aria, si dipinge in faccia,
e nel cor triema, e non sa che si faccia.
15
A questo annunzio, stimulato e punto
da l'amoroso stral, dentro infiammarse,
e per l'ossa sentì tutto in un punto
correre un giaccio che 'l timor vi sparse,
timor ch'un nuovo sdegno abbia consunto
quel grande amor che già per lui sì l'arse.
Di ciò confuso non si risolveva,
s'incontra uscirle, o pur restar doveva.
16
Or quivi ritrovandosi Marfisa,
che d'uscire alla giostra avea gran voglia,
ed era armata, perché in altra guisa
è raro, o notte o dì, che tu la coglia;
sentendo che Ruggier s'arma, s'avisa
che di quella vittoria ella si spoglia
se lascia che Ruggiero esca fuor prima:
pensa ire inanzi, e averne il pregio stima.
17
Salta a cavallo, e vien spronando in fretta
ove nel campo la figlia d'Amone
con palpitante cor Ruggiero aspetta,
desiderosa farselo prigione,
e pensa solo ove la lancia metta,
perché del colpo abbia minor lesione.
Marfisa se ne vien fuor de la porta,
e sopra l'elmo una fenice porta;
18
o sia per sua superbia, dinotando
se stessa unica al mondo in esser forte,
o pur sua casta intenzion lodando
di viver sempremai senza consorte.
La figliuola d'Amon la mira; e quando
le fattezze ch'amava non ha scorte,
come si nomi le domanda, ed ode
esser colei che del suo amor si gode;
19
o per dir meglio, esser colei che crede
che goda del suo amor, colei che tanto
ha in odio e in ira, che morir si vede,
se sopra lei non vendica il suo pianto.
Volta il cavallo, e con gran furia riede,
non per desir di porla in terra, quanto
di passarle con l'asta in mezzo il petto,
e libera restar d'ogni suspetto.
20
Forza è a Marfisa ch'a quel colpo vada
a provar se 'l terreno è duro o molle;
e cosa tanto insolita le accada,
ch'ella n'è per venir di sdegno folle.
Fu in terra a pena, che trasse la spada,
e vendicar di quel cader si volle.
La figliuola d'Amon non meno altiera
gridò: — Che fai? tu sei mia prigioniera.
21
Se bene uso con gli altri cortesia,
usar teco, Marfisa, non la voglio,
come a colei che d'ogni villania
odo che sei dotata e d'ogni orgoglio. —
Marfisa a quel parlar fremer s'udia
come un vento marino in uno scoglio.
Grida, ma sì per rabbia si confonde,
che non può esprimer fuor quel che risponde.
22
Mena la spada, e più ferir non mira
lei, che 'l destrier, nel petto e ne la pancia:
ma Bradamante al suo la briglia gira,
e quel da parte subito si lancia;
e tutto a un tempo con isdegno ed ira
la figliuola d'Amon spinge la lancia,
e con quella Marfisa tocca a pena,
che la fa riversar sopra l'arena.
23
A pena ella fu in terra, che rizzosse,
cercando far con la spada mal'opra.
Di nuovo l'asta Bradamante mosse,
e Marfisa di nuovo andò sozzopra.
Ben che possente Bradamante fosse,
non però sì a Marfisa era di sopra,
che l'avesse ogni colpo riversata;
ma tal virtù ne l'asta era incantata.
24
Alcuni cavallieri in questo mezzo,
alcuni, dico, de la parte nostra,
se n'erano venuti dove, in mezzo
l'un campo e l'altro, si facea la giostra
(che non eran lontani un miglio e mezzo),
veduta la virtù che 'l suo dimostra;
il suo che non conoscono altrimente
che per un cavallier de la lor gente.
25
Questi vedendo il generoso figlio
di Troiano alle mura approssimarsi,
per ogni caso, per ogni periglio
non volse sproveduto ritrovarsi;
e fe' che molti all'arme dier di piglio,
e che fuor dei ripari appresentarsi.
Tra questi fu Ruggiero, a cui la fretta
di Marfisa la giostra avea intercetta.
26
L'inamorato giovene mirando
stava il successo, e gli tremava il core,
de la sua cara moglie dubitando;
che di Marfisa ben sapea il valore.
Dubitò, dico, nel principio, quando
si mosse l'una e l'altra con furore;
ma visto poi come successe il fatto,
restò maraviglioso e stupefatto:
27
e poi che fin la lite lor non ebbe,
come avean l'altre avute, al primo incontro,
nel cor profundamente gli ne 'ncrebbe,
dubbioso pur di qualche strano incontro.
De l'una egli e de l'altra il ben vorrebbe;
ch'ama amendue: non che da porre incontro
sien questi amori: è l'un fiamma e furore,
l'altro benivolenza più ch'amore.
28
Partita volentier la pugna avria,
se con suo onor potuto avesse farlo.
Ma quei ch'egli avea seco in compagnia,
perché non vinca la parte di Carlo,
che già lor par che superior ne sia,
saltan nel campo, e vogliono turbarlo.
Da l'altra parte i cavallier cristiani
si fanno inanzi, e son quivi alle mani.
29
Di qua di là gridar si sente all'arme,
come usati eran far quasi ogni giorno.
Monti chi è a piè, chi non è armato s'arme,
alla bandiera ognun faccia ritorno!
dicea con chiaro e bellicoso carme
più d'una tromba che scorrea d'intorno:
e come quelle svegliano i cavalli,
svegliano i fanti i timpani e i taballi.
30
La scaramuccia fiera e sanguinosa,
quanto si possa imaginar, si mesce.
La donna di Dordona valorosa,
a cui mirabilmente aggrava e incresce
che quel di ch'era tanto disiosa,
di por Marfisa a morte, non riesce;
di qua di là si volge e si raggira,
se Ruggier può veder, per cui sospira.
31
Lo riconosce all'aquila d'argento
c'ha nello scudo azzurro il giovinetto.
Ella con gli occhi e col pensiero intento
si ferma a contemplar le spalle e 'l petto,
le leggiadre fattezze, e 'l movimento
pieno di grazia; e poi con gran dispetto,
imaginando ch'altra ne gioisse,
da furore assalita così disse:
32
— Dunque baciar sì belle e dolce labbia
deve altra, se baciar non le poss'io?
Ah non sia vero già ch'altra mai t'abbia;
che d'altra esser non déi, se non sei mio.
Più tosto che morir sola di rabbia,
che meco di mia man mori, disio;
che se ben qui ti perdo, almen l'inferno
poi mi ti renda, e stii meco in eterno.
33
Se tu m'occidi, è ben ragion che deggi
darmi de la vendetta anco conforto;
che voglion tutti gli ordini e le leggi,
che chi dà morte altrui debba esser morto.
Né par ch'anco il tuo danno il mio pareggi;
che tu mori a ragione, io moro a torto.
Farò morir chi brama, ohimè! ch'io muora;
ma tu, crudel, chi t'ama e chi t'adora.
34
Perché non déi tu, mano, essere ardita
d'aprir col ferro al mio nimico il core?
che tante volte a morte m'ha ferita
sotto la pace in sicurtà d'amore,
ed or può consentir tormi la vita,
né pur aver pietà del mio dolore.
Contra questo empio ardisci, animo forte:
vendica mille mie con la sua morte. —
35
Gli sprona contra in questo dir, ma prima:
— Guardati (grida), perfido Ruggiero:
tu non andrai, s'io posso, de la opima
spoglia del cor d'una donzella altiero. —
Come Ruggiero ode il parlare, estima
che sia la moglie sua, com'era in vero,
la cui voce in memoria sì bene ebbe,
ch'in mille riconoscer la potrebbe.
36
Ben pensa quel che le parole denno
volere inferir più; ch'ella l'accusa
che la convenzion ch'insieme fenno,
non le osservava: onde per farne iscusa,
di volerle parlar le fece cenno:
ma quella già con la visiera chiusa
venìa dal dolor spinta e da la rabbia,
per porlo, e forse ove non era sabbia.
37
Quando Ruggier la vede tanto accesa,
si ristringe ne l'arme e ne la sella:
la lancia arresta; ma la tien sospesa,
piegata in parte ove non nuoccia a quella.
La donna, ch'a ferirlo e a fargli offesa
venìa con mente di pietà rubella,
non poté sofferir, come fu appresso,
di porlo in terra e fargli oltraggio espresso.
38
Così lor lance van d'effetto vote
a quello incontro; e basta ben s'Amore
con l'un giostra e con l'altro, e gli percuote
d'una amorosa lancia in mezzo il core.
Poi che la donna sofferir non puote
di far onta a Ruggier, volge il furore
che l'arde il petto, altrove; e vi fa cose
che saran, fin che giri il ciel, famose.
39
In poco spazio ne gittò per terra
trecento e più con quella lancia d'oro.
Ella sola quel dì vinse la guerra,
messe ella sola in fuga il popul Moro.